In uno dei sondaggi proposti via newsletter vi abbiamo chiesto di esprimere le vostre preferenze per una particolare categoria di libri, in cui il pretesto narrativo è la “rinascita”, la “seconda possibilità” da offrire a un’esistenza che, per qualche motivo, sembra aver perso senso.

In questi libri, gli autori e i protagonisti sono mossi da un iniziale senso di smarrimento, di vuoto o di angoscia da cui però riemergono, tornando a gustare quei piccoli piaceri che danno letteralmente sapore, colore e significato alle giornate.

Ecco i risultati:
1. Il più votato:
Finchè il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi – recensione qui
2. Secondo posto:
Il ristorante dell’amore ritrovato di Ito Ogawa – trovi la recensione qui sotto
3. Last but not least:
Afrodita di Isabelle Allende – recensione qui 


Sarò sincera, la mia classifica personale risulta invertita a questa: Afrodita di Isabelle Allende è stato per me il primo vero incontro con questa categoria di libri e forse per questo motivo quello a cui sono più affezionata. Ma è obbligatorio che io citi, nello stesso repertorio, un suo famoso antecedente, passando dal vivacissimo immaginario sudamericano della Allende alla sobrietà e all’eleganza stilistica della letteratura giapponese, a cui appartengono gli altri due titoli scelti nel nostro sondaggio.
Ben prima dell’uscita di Afrodita, infatti (e sempre per la casa editrice Feltrinelli, In Italia), i lettori avevano consacrato nello stesso repertorio il romanzo Kitchen di Banana Yoshimoto, la vicenda di una ragazza rimasta sola al mondo, che continua letteralmente a vegetare, senza nutrirsi, nell’unico posto della sua abitazione dove si sente a proprio agio: la cucina.
A salvarla è il trasferimento a casa di un compagno di studi e della madre di lui, dove ritrova finalmente l’interesse per il cibo e la sua preparazione:

“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.”

Sebbene siano passati trent’anni dalla prima pubblicazione di Kitchen, divenuto un caso editoriale in tutto il mondo, il Giappone ha continuato ad affascinarci con questo tipo di storie: Il ristorante dell’amore ritrovato della scrittrice Ito Ogawa (prima edizione italiana Neri Pozza, 2010) non poteva mancare in questa lista.

Parla di una giovane cuoca che, in seguito a uno shock per l’abbandono perfido e inspiegabile del suo ragazzo, perde perfino la voce. Lascia quindi la città per tornare sulle montagne dove è cresciuta. Lì le viene un’idea che risulterà efficacissima per tamponare il dolore: occuparsi anche del dolore altrui. Aprirà un minuscolo ristorante nel granaio della casa materna, con un solo tavolo. Ogni menù viene elaborato secondo i desideri dei clienti. La protagonista concentra tutto il proprio impegno solo ed esclusivamente sulle persone che siederanno a quel tavolo, sulle loro esperienze, sulle loro necessità. Ogni ingrediente e ogni piatto scelto per loro è preparato come fosse un medicamento, per il corpo e l’anima, con ottimi risultati.

Se sei vegetariana/o e hai intenzione di leggere questo romanzo mi sento solo di dirti di non affezionarti a un certo maialino, perché – spoiler alert – andrà sacrificato per le necessità di cui sopra. Perdonami, ma meglio tu lo sappia prima e da me, soffrirai meno! Per il resto è un libro delizioso!

Rubrica a cura di

Katuscia Da Corte

Mi chiamo Katuscia Da Corte e mi occupo principalmente di comunicazione, lingua e apprendimento. Amo leggere e per un po’ ho collezionato, tra gli altri libri, ricettari, romanzi sulla cucina e saggi sulla gastronomia, perché mi piace tanto anche mangiare! Grazie a Nicole, recentemente ho ampliato anche la parte di pasticceria. Lei ed io ci siamo conosciute all’università, a Pordenone. Per un anno, da studentesse, abbiamo condiviso una camera che sembrava più un loculo di tre metri per tre: due brandine separate da un comodino, una mini scrivania, una sedia e un armadio che impediva alla porta di aprirsi del tutto.

Ma quello che davvero riempiva quella stanza erano le nostre risate insieme! Dopo la laurea, pur rimanendo sempre in contatto, ci siamo trasferite in regioni diverse. Io adoro viaggiare e scoprire posti nuovi, persone e culture differenti. Una di queste esplorazioni mi ha portato a Londra, città super interessante per animi curiosi come il mio, quindi ho dovuto trattenermi per sette anni! Ora sono di nuovo in Italia (mi mancava la nostra natura!), ma con Unicorns eat Cookies ogni giorno ho un pretesto per “tornare” un po’ nel Regno Unito.